Maxi operazione contro la ‘ndrangheta. Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Vibo Valentia stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare del gip di Catanzaro – su richiesta della Dda – a carico di 334 persone (VIDEO). L’operazione ‘Rinascita-Scott’ ha disarticolato tutte le organizzazioni di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese e facenti capo alla cosca Mancuso di Limbadi. Complessivamente sono 416 gli indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose.
Pittelli avrebbe “concretamente contribuito – si legge nell’ordinanza del gip – pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, operante sul territorio della Provincia di Vibo Valentia e su altre zone del territorio calabrese, nazionale ed estero”. In particolare, secondo l’ordinanza Pittelli “aveva instaurato con la ‘ndrangheta, e segnatamente con la cosca Mancuso operante in Limbadi ed in tutta la provincia di Vibo Valentia ed oltre, e con la cosca Razionale- Flarè-Gasparro, operante in S. Gregorio d’Ippona, anche mediante relazioni riservate, dirette e personali con boss del calibro di Luigi Mancuso, nella veste sostanziale di uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento per il sodalizio uno stabile rapporto ‘sinallagmatico’, caratterizzato dalla perdurante e reciproca offerta di ausilio ed in forza del quale Pittelli, oltre a garantire la sua generale disponibilità nei confronti del sodalizio a risolvere, anche commettendo specifici reati e comunque sfruttando la propria rete di relazioni personali, i più svariati problemi degli associati”. “Sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti di Pittelli – chiarisce l’ordinanza – con importanti esponenti delle Istituzioni della Pubblica Amministrazione, in particolare delle Forze dell’Ordine, e, quindi, dalle illimitate possibilità di accesso a notizie riservate (che procacciava e comunque rivelava nell’interesse del sodalizio) e a trattamenti di favore, consentiva a tale organizzazione d’infiltrarsi e di avere decisiva voce in capitolo in importanti affari ed iniziative imprenditoriali (nello specifico settore delle speculazioni immobiliari nel ramo turistico-alberghiero), anche mediando con altri imprenditori ed operatori economici in relazione alle pretese estorsive della cosca Mancuso” come “l’autorizzazione alla conclusione di compravendite aventi ad oggetto immobili e attività ricadenti nel territorio di competenza della cosca, fissazione del prezzo, individuazione del contraente, riconoscimento di una sorta di ‘diritto di prelazione’ mafiosa nella conclusione dell’affare”.
L’imponente operazione, in cui sono impegnati 2.500 carabinieri del Ros e dei Comandi provinciali, è frutto di articolate indagini durate anni e, oltre alla Calabria, interessa varie Regioni d’Italia dove la ‘ndrangheta vibonese si è ramificata: Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata. Alcuni indagati sono stati localizzati e arrestati in Germania, Svizzera e Bulgaria in collaborazione con le locali forze di polizia e in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria di Catanzaro.
Denominata ‘Rinascita-Scott’ e coordinata dal gip di Catanzaro sulla base di un’indagine della Dda, la maxi operazione dei Carabinieri contro la ‘ndrangheta oltre a portare 260 persone in carcere, 70 ai domiciliari e 4 al divieto di dimora, ha anche portato al sequestro di beni mobili ed immobili per un valore complessivo di 15 milioni di euro. Le indagini hanno consentito di ricostruire con completezza gli assetti di tutte le strutture di ‘ndrangheta dell’area vibonese e fornito un’ulteriore conferma dell’unitarietà della ‘ndrangheta, al cui interno le strutture territoriali godono di un’ampia autonomia operativa, seppur nella comunanza delle regole e nel riconoscimento dell’autorità del Crimine di Polsi.
Le indagini hanno documentato l’esistenza di strutture quali società, locali e ‘ndrine, in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirvi capillarmente ogni attività lecita o illecita; lo sviluppo di dialettiche inerenti alle regole associative, nello specifico, sulla legittimità della concessione di doti ad affiliati detenuti e sui connessi adempimenti formali; l’utilizzo di tradizionali ritualità per l’affiliazione e per il conferimento delle doti della società maggiore, attestato dal sequestro di alcuni pizzini riportanti le copiate; l’operatività di una struttura provinciale, il crimine della provincia di Vibo Valentia, con compiti di coordinamento delle articolazioni territoriali e di collegamento con la provincia di Reggio Calabria e il crimine di Polsi, quale vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria.
A capo della struttura si sono alternati, negli anni, esponenti della cosca ‘Mancuso’, quali Giuseppe Mancuso, Pantaleone Mancuso, e, da ultimo, Luigi Mancuso, che ha governato gli assetti mafiosi della provincia, riuscendo anche a ricomporre le fibrillazioni registrate negli anni tra le varie consorterie.
Nell’operazione c’è anche il nome di Nicola Adamo, ex vicepresidente della Regione, al quale il giudice per le indagini preliminari Barbara Saccà ha applicato la misura del divieto di dimora in Calabria, esclusa l’aggravante del 416 bis. All’esponente del Partito democratico, fedelissimo del governatore Mario Oliverio, “promettevano (che accettava la proposta) la corresponsione della somma di 50mila euro come prezzo della sua mediazione illecita” sia verso il Giudice sia verso i membri della commissione tecnica che il Tar avrebbe dovuto nominare nell’ambito della causa. Lo stesso Adamo veniva interpellato in un caso “affinché si attivasse favorevolmente presso l’Autorità Giudiziaria, sfruttando la propria relazione con il Giudice, Presidente della II Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, per sostenere la posizione processuale” dell’amministratore unico di un consorzio ricorrente.
LE INTERCETTAZIONI – Dall’ordinanza di custodia cautelare emergono anche gli elogi che Giovanni Giamborino (cugino di Pietro, ex consigliere regionale della Margherita e poi del Pd) e Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia, avrebbero riservato al boss Luigi Mancuso. Scrive il gip: “Se in passato (…) i Mancuso vivevano una forte spaccatura interna, fonte di continui attriti tra i suoi stessi membri, dal 2012, anno della scarcerazione di Luigi Mancuso, il trend è stato in senso opposto. Il ritorno in libertà dello “Zio” ha segnato una nuova epoca per la cosca di Limbadi (…). A riprova della notorietà della sua strategia “pacifista” e del suo ruolo di “Supremo” negli ambienti della criminalità organizzata e della massoneria, ritornano una serie di conversazioni intercettate nel presente procedimento (…) in cui si fa riferimento espresso all’autorevolezza di Luigi Mancuso, apprezzato sin da giovane per l’atteggiamento non aggressivo e tendente alla mediazione. La politica criminale così imposta, attraverso la concordia e il consenso, in effetti produceva effetti inimmaginabili, quali la condivisione, da parte tutti i Mancuso e, in particolare, da parte di Giuseppe Mancuso (il nipote con cui in passato s’erano registrati contrasti), dei progetti criminali dettati dal boss e l’assoggettamento “spontaneo” della popolazione che, perfino di propria iniziativa andava a pagare le estorsioni direttamente a Luigi Mancuso”.
Subito dopo il gip, dopo aver annotato che Giovanni Giamborino “è risultato essere uno dei più fidati uomini del Mancuso”, scrive che il cugino dell’ex consigliere regionale dem, parlando con Pittelli nel maggio del 2017, afferma: “Ormai è finita la storia…non c’è niente per nessuno…perché se vi….come facevano loro…facevano un’estorsione…vanno da un imprenditore, questi scappano dai carabinieri…perché non hanno fiducia, avete capito…perché oggi va uno, domani va un altro dopo domani va un altro….questi non sanno dove devono ripararsi e nel cerchio non vanno perché non c’è un garante…invece se va Luigi in un posto e che non va perché vanno loro a trovare lui…avete capito?….e devono avere sicurezza…hanno tutte cose…”. E il 12 settembre del 2016, “dopo aver pranzato insieme a Luigi Mancuso”, Giovanni Giamborino, in compagnia di Pittelli la definiva “una compagnia piacevole…”, e Pittelli, scrive il gip, “concordava aggiungendo ‘con Luigi è un’altra cosa’”.
Poi, si legge ancora nell’ordinanza di custodia cautelare, “sempre il Giamborino, in una delle più eloquenti conversazioni intercettate (…) il 9 dicembre 2016, affermerà “che se non usciva questo cristiano erano già bolliti, come sono bolliti, se non c’è questo cristiano…qua erano bolliti come…lo sai che fine avevano fatto…ognuno si trattiene per lui…adesso che sapevano che doveva uscire…e sanno di lui…che altrimenti sai quanti calci nel culo gli buttavano tutti”.
Nel capitolo dedicato al “concorso esterno di Gianluca Callipo” ed Enrico Caria (all’epoca dei fatti comandante della polizia municipale di Pizzo), il gip Saccà scrive che “dalle indagini e dalla ricostruzione dei delitti” sono “emersi i rapporti e le cointeressenza tra gli esponenti della ‘ndrangheta operativa su Pizzo, legata ai Bonavota e capeggiata da Salvatore Mazzotta, e gli esponenti politici quali il sindaco Gianluca Callipo, ovvero il comandante della Polizia municipale Enrico Caria, o Daniele Pulitano definito “in diretto rapporto con i vertici dell’organizzazione criminale operante (in Pizzo in particolare, famiglia Mazzotta) e San Gregorio d’Ippona (famiglia Razionale – Gasparro)”.
Secondo il gip, “il compendio investigativo è valso a dimostrare come il sostegno elettorale in favore di Gianluca Callipo, per le elezioni a sindaco del comune di Pizzo dell’11 giugno 2017, è provenuto dalla ‘ndrina di Pizzo, come dimostrato dalle intercettazioni autorizzate in questo procedimento”, in particolare quelle fra Luca Belsito, “componente della ’ndrina di Mazzotta”. Belsito, annota il gip, “si lamenta perché Callipo, nonostante avesse chiesto (e ottenuto) i voti e dunque fosse diventato sindaco del Comune di Pizzo Calabro, non si fosse adoperato in loro favore, bloccando i lavori per la realizzazione di nuove case, progetto di loro interesse”.
Belsito: “Io pago l’affitto, non sono come te (bestemmia) che non paghi affitto”. Uomo: “Ride…(bestemmia)…io il padrone a casa tua…io a casa mia decido (…). Mannaggia l’affitto (bestemmia), lo sai come se lo paga”. Belsito: “Un mese va e un mese viene”. Uomo: “Andate al Comune dal Sindaco, che quando ha voluto i voti li ha voluti”. Belsito: “Questo porco di merda non ha fatto niente….gli hanno bloccato le case là sopra pure (…). Ha fatto il cazzo per lui (incomprensibile) bestemmia (…) quattro mesi là sopra questo porco di merda, se lo becco gli meno una palata (…), gliela devo menare”.
TOFALO – ”Congratulazioni all’Arma dei carabinieri” per questo “durissimo colpo messo a segno contro le organizzazioni di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese e facenti capo alla cosca Mancuso di Limbadi” sono arrivate dal sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo. E’ stato “portato a termine – scrive in una nota – un lavoro magistrale che conferma la presenza dello Stato e l’impegno senza sosta delle Forze dell’Ordine e di Polizia nella lotta alla criminalità. Il 2019 non poteva concludersi in modo migliore!”. (Adnkronos)